L’obbedienza civile e la cultura del regno dei cieli
Questo scritto è indirizzato specialmente ai cristiani che si stanno facendo domande su come comportarsi nella difficile ed eccezionale situazione attuale dovuta alla pandemia da Covid-19 e alle conseguenti norme restrittive adottate dai vari governi.
Alcune riflessioni personali che ho deciso di condividere, con l’intenzione di offrire a chi le riterrà utili uno strumento di orientamento secondo la Parola di Dio e un incoraggiamento a vivere questo tempo secondo la nuova natura che abbiamo ricevuto nel Signore Gesù il Messia, come cittadini del suo Regno e famigliari di Dio.
- Uno sguardo al mondo in questo tempo di pandemia →
- La confusione e l’incertezza regna perché non sai mai qual è la verità →
- Uno sguardo al cristianesimo →
- Per allargare lo sguardo d’insieme può aiutarci anche la storia →
- Il grande inganno della ribellione giustificata dal bisogno di giustizia →
- É in atto un grande inganno. Cerco di spiegarlo →
- Le priorità di Gesù →
- Il discepolo del Signore e le autorità civili costituite →
- Gesù e le leggi “ingiuste” →
- Non c’è spazio per la giustizia personale nel discepolo di Gesù →
- Siamo un regno di Sacerdoti →
Uno sguardo al mondo in questo tempo di pandemia
Da quando nel marzo 2020 in Europa è iniziata l’emergenza “Coronavirus”, i governi hanno cercato di farvi fronte con varie strategie, disposizioni normative e regolamentari che si sono diversificate e succedute nel tempo. Effettivamente, al di là del colore politico dei vari governi impegnati in questa lotta contro il nemico invisibile, per tutti si è trattato di una cosa nuova, una minaccia mai affrontata in precedenza che ha sfidato anche i più solidi sistemi sanitari e i più brillanti bilanci statali.
In particolare, ora che la seconda ondata di questa pandemia sta severamente colpendo il vecchio continente, da più parti nella popolazione si avverte il salire e il diffondersi, quasi proporzionalmente al virus, di un malessere sociale che è perfino sfociato in proteste violente, vandalismi e distruzione. Questo malessere è come una generale e indiscriminata scontentezza che sembra derivare la sua forza dalla paura ingenerata dal senso profondo di sfiducia nelle istituzioni dello Stato. Non contano gli ideali o i programmi politici di chi governa e delle maggioranze parlamentari. Conta il fatto che chiunque governi, per la società civile fa comunque male, divenendo così oggetto esterno alla coscienza collettiva su cui proiettare la rabbia, strutturata dalla paura dell’incertezza delle sorti delle nazioni. “Nessuno potrà ormai risolvere niente!” Questo è il grido che è sulla bocca dei popoli. Per cui cresce il desiderio di non essere obbligati dalle “loro” leggi e di esserne, anzi, sciolti per motivo di giustizia, accarezzando pericolosamente in questo modo l’utopico ideale anarchico.
La società si sta accorgendo che non è in grado di risolvere i problemi che essa stessa ha causato
La democrazia sta generando un circolo vizioso: il voto dà al votante il diritto di dissentire, di far valere la propria opinione, di vantare diritti e difenderli anche contro quegli stessi governanti che sono al potere grazie al suo stesso voto. E così ne verranno altri e contro di essi si avrà lo stesso diritto di dissentire, favorire divisione, alzare proteste. Tanto, potrebbe dire uno qualsiasi del popolo di oggi, è tutto vano. Comunque e a prescindere.
Alla sfiducia si aggiunge la frustrazione e la rabbia che essa genera per la paura che la sostiene. La paura di non avere la possibilità di vivere la vita che ci spetta.
Allora nascono teorie e ipotesi di ogni tipo. Ho sentito dire che molte persone non vogliono farsi il tampone perché in realtà si tratta di un disegno del potere occulto per sfondare “le membrane” del cervello alle persone. Altri sono convinti che “il potere” sta tentando subdolamente di mettere in scena test di massa per inoculare il virus nel naso di chi si sottopone al test. Altri ancora tremano all’idea di un altro lockdown e spargono la voce che il virus non esiste, che i morti non ci sono stati o che i numeri sono gonfiati sempre dallo stesso “potere” che loro stessi hanno legittimato con il proprio voto. Qualsiasi provvedimento il governo faccia, non sarà mai apprezzato perché non tiene conto delle esigenze individuali di tutti. Se chiudiamo il Paese, moriamo di economia. Se lasciamo aperto il Paese, moriamo di coronavirus o di inefficienza burocratica o di inadeguatezza del sistema sanitario pubblico. Se in alcuni Stati si pensa ai test di massa, corporazioni sanitarie e lobby politiche boicottano ogni tentativo del genere, per partito preso, così creando instabilità non solo politica, ma soprattutto sociale, sperando così di proteggere le proprie posizioni corporative; o di ottenere nuove elezioni per prendere “il potere”; oppure che il caos generale celebri e consumi il sogno anarchico dell’individualismo a ogni costo che dice: “io sono legge a me stesso e nessuno può dirmi cosa devo fare”.
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La confusione e l’incertezza regna perché non sai mai qual è la verità
Secondo il trend culturale prevalente, tutti hanno il “diritto” di dire come tutto dovrebbe funzionare. E lo fanno in molti! Regna la confusione e l’incertezza perché non sai mai la verità. Il seme del dubbio è nella testa della massa: c’è sempre la possibilità che esista una verità nascosta che sarebbe anche plausibile, ma non dimostrabile in senso assoluto. In internet e in genere sui media si trova tutto e il contrario di tutto. Se vuoi sapere cosa è vero e cosa non lo è non hai strumenti validi a disposizione per documentarti sulla “verità” oggettiva dei fatti. Che tragedia. Il bene più scarsamente a disposizione nel mondo è proprio, come sempre, la VERITA’! “Noi infelici! Chi ci libererà da questa sistematica ignoranza?” Ben potrebbe essere questo il grido degli uomini che oggi appartengono al mondo. É simile al grido che anche l’apostolo Paolo alzava al cielo in Romani 7,24, ma per essere liberato dal corpo del peccato e dal potere della “carne”. Tutta un’altra storia.
E allora i sovranisti invocano la sovranità nazionale come soluzione di tutto, come se quando eravamo “sovrani” tutto fosse andato bene. Gli europeisti inneggiano al rafforzamento dell’Unione come se fosse la panacea di tutti i mali, nonostante gli evidenti frutti malati che ha prodotto. I negazionisti sono contro le mascherine, contro il distanziamento sociale, contro i disinfettanti, contro i vaccini, contro i coprifuoco, contro i test di massa fatti per evitare i lockdown e contro i lockdown fatti per mancanza di test di massa. I cospirazionisti credono che ci sia un disegno superiore per impiantare “dot quantici” nei nostri corpi tramite i vaccini anti Covid-19; alcuni paventano che ciò sia complementare al “5G” che potrà controllarci emotivamente e nel pensiero attraverso i dot quantici; altri ancora aggiungono che ciò sarà possibile, ma grazie alle “scie chimiche” che ci rendono individuabili dal “5G”. Altri teorizzano che il virus sia la nuova arma letale con cui si sta volontariamente combattendo una terza guerra mondiale; o che sono tutti (i potenti) d’accordo per ridurre la popolazione mondiale. E se fosse tutto vero? E se avessero ragione? Chi può saperlo? Ed ecco che allora, sotto sotto, tanti sperano che arrivi un uomo forte e che salvi tutti da questo disastro, smascherando le trame malefiche e facendo trionfare il bene sociale, come se quando abbiamo avuto uomini del genere al comando il bene avesse trionfato!
Sembra che in preda al più grande delirio di onnipotenza della storia, il mondo stia prendendo coscienza di essere completamente impotente. La coscienza collettiva è sempre più consapevole di giacere sotto il potere di qualcosa di maligno che non lascia scampo: tra pandemie, carestie, guerre, terrorismo, terremoti e tsunami, i falsi messia e i falsi profeti di oggi tirano le corde del potere e dell’informazione, traendo vantaggio dallo smarrimento causato dal male che si autosostiene e autorigenera.
I sistemi stanno dando il “meglio di sé”
La politica, inconsapevolmente o consapevolmente non lo sappiamo (si tratta anche di situazioni mai verificatesi prima d’ora ed è teoricamente difficile saper cosa fare per affrontare questo tipo di emergenza), sta di fatto dosando la quantità di ossigeno da erogare alle singole libertà individuali con la conseguenza che genera ora ribellione, ora tranquillità. L’alternarsi di libertà concessa e tolta educa gli individui a dipendere dai poteri che gestiscono le loro libertà e quindi a obbedirgli per convenienza e necessità di sopravvivere.
L’economia sta urlando sotto il macigno delle chiusure, specialmente quando sono indiscriminate. Chi non ha non riesce più ad alzare la testa. Ma quanto più i deboli e i poveri spariranno, tanto più chi ha molto cesserà di temere di doversi far carico di loro. La conclusione è che ci saranno sempre meno persone a spartire la torta del benessere.
La cultura, superando tutti gli altri sistemi, ha ormai raggiunto un livello di “libertà” forse ormai di non ritorno: libertà di aborto, libertà di scegliersi il genere sessuale, libertà di matrimonio omosessuale, libertà di adozione da transgender e coppie omosessuali, libertà di farsi uccidere dal sistema sanitario con l’eutanasia o il suicidio assistito ….. Come è nella natura delle cose terrene, le leggi seguono il solco culturale già tracciato dal modus vivendi delle persone. Perciò, aspettiamoci che le leggi ratifichino quello che la cultura ha già incarnato.
La religione, infine, sta facendo quadrare il cerchio: ciascuno nel nome del proprio dio, invoca la libertà di pregare tutti insieme, basta che si faccia nel nome dell’amore e della fratellanza universale. Temi cari al mondo, alle sue varie “fratellanze” e circoli “filantropici”. Peraltro sempre più condivisi anche da numerosi ambienti cristiani che hanno ormai da tempo perfino accettato come tollerabili, se non perfino normali, alcuni dei valori prevalenti nel mondo. Valori come l’amore per il denaro, la manipolazione delle coscienze e delle volontà, l’aborto, l’omosessualità e le unioni tra omosessuali, la pedofilia, la frode finanziaria internazionale, il furto dei soldi destinati ai poveri et cetera. Il tutto, molto spesso con la benedizione dell’esempio dato da chi “comanda” o “guida”.
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Uno sguardo al cristianesimo
Come cristiani cosa sarebbe giusto fare rispetto a leggi limitanti le nostre libertà.
Il momento è davvero delicato, confuso e difficile. Vivendo nel mondo è facile iniziare a pensare e sentire come si fa nel mondo, rischiando di assorbirne la mentalità di approccio alle varie situazioni di vita.
La domanda che possiamo porci come cristiani è cosa sia giusto fare rispetto a leggi limitanti le nostre libertà. In altre parole, è giusto come credenti ribellarsi alle leggi “oppressive”, protestare o anche solo lamentarsi del governo? É giusto manifestare nelle piazze o dissentire sempre e a prescindere? Oppure la nostra nuova vita come cittadini del regno di Dio ci suggerisce, approva e persegue altre vie?
É una questione che attiene alla sfera morale, non a quella politico-social-economica-religiosa.
Propongo alcune mie riflessioni in proposito, maturate quando in più parti del mondo alcuni cristiani hanno ritenuto giusto far sentire la propria voce di protesta civile. Ad esempio, in questi ultimi tempi ci sono state alcune prese di posizione, anche da parte di credenti di tendenza, che hanno invitato i membri delle proprie chiese a ribellarsi ad alcune leggi ritenute ingiuste, adottate in periodo di emergenza Covid-19. Dicono che comprimono le libertà religiose della chiesa, civilmente garantite dalla costituzione. Ne sono conseguiti perfino scontri giudiziari in tribunale, laddove alcune chiese rivendicano il proprio diritto di riunirsi e lodare Dio, cantando senza mascherina protettiva.
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Per allargare lo sguardo d’insieme sulla questione proposta, può aiutarci anche la storia
I cristiani erano noti, già nel mondo antico e nonostante le persecuzioni dei primi secoli, per essere dei cittadini modello, rispettosi delle leggi e delle autorità civili costituite.
Ad esempio, la lettera a Diogneto, scritta probabilmente nella seconda metà del II° secolo d.C., menziona che
“i cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono a una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti. Mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati e onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio”.
I cristiani dei primi secoli, dunque, erano conosciuti, tra l’altro, per coloro che obbedivano alle leggi stabilite. Sempre dalla storia sappiamo che affermavano, persino durante le persecuzioni di Roma, il loro lealismo verso lo Stato e si proclamavano buoni cittadini. Come Paolo, consapevole dei vantaggi che la cittadinanza romana comportava, si dichiarava deciso a non ribellarsi agli aspetti meno piacevoli dell’obbedienza alla legge, affermando: “Se risulto colpevole e ho commesso qualcosa che meriti la morte, non rifiuto di subirla”.
Il radicale rifiuto della disobbedienza civile fu particolarmente evidente in campo fiscale, cui i cristiani si attenevano scrupolosamente, secondo il famoso precetto di rendere “a Cesare quel che è di Cesare”. Rimaneva, tuttavia, il problema del rifiuto, da parte dei cristiani, di celebrare il culto dell’imperatore, come facevano i loro concittadini pagani. Rifiuto che, infatti, fu causa della maggior parte delle persecuzioni contro di loro.
Ecco storicamente delineato un primo distinguo: un cristiano può moralmente, e quindi deve, non obbedire ad una legge dello Stato se quella stessa legge gli impone comportamenti idolatri. Un secondo distinguo si rinviene, inoltre, nei casi narrati in Atti 4 e 5, quando gli Apostoli si rifiutarono di obbedire al comando loro imposto dal Sinedrio di non predicare né insegnare nel nome di Gesù. Comando che oggettivamente violava quello trasmesso loro del Signore e riportato specialmente in Matteo 28, Marco 16 e Atti 1.
Alcuni potrebbero oggi obiettare che una situazione analoga può essere rinvenuta nella moderna Cina, dove le chiese cosiddette “sotterranee” (quelle cioè non asservite o controllate dal potere politico comunista) si riuniscono di nascosto, così “giustamente” violando la legge che vieta loro di riunirsi; cosa che sappiamo accadere anche in Iran, come pure in altri Paesi. Cioè, si potrebbe argomentare che se la chiesa è limitata nella sua “libertà” di riunirsi, i suoi membri fanno bene a non osservare le leggi che impongono tale divieto e a riunirsi comunque perché diversamente violerebbero la legge di Dio (questo aspetto sarà trattato più avanti). Con ciò giustificando l’invito odierno di molte chiese a partecipare alle riunioni comunitarie, nonostante il divieto di legge in tal senso.
A tale obiezione si potrebbe, tuttavia, opporre la considerazione giuridica che il divieto attuale di riunione, salvo l’osservanza di certe condizioni sanitarie è, in re ipsa temporaneo, eccezionale e dettato da esigenze di tutela di sanità pubblica. Di contro, nei casi sopra riportati, invece, la motivazione delle leggi che impongono restrizioni alla libertà dei cristiani è vietare che si adori Dio (Cina) o che si adori un dio diverso da quello di stato (Iran), con conseguente persecuzione, anche fino alla morte di chi viene scoperto.
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Il grande inganno della ribellione giustificata dal bisogno di giustizia
La mancanza di speranza contraddistingue il lamento dei più di questo mondo che si stanno accorgendo di non avere scampo e di essere sempre più asserviti ai propositi malvagi di una qualche forza distruttiva per loro indefinita e anche indefinibile. Noi sappiamo che non è una forza, ma il diavolo.
É utile vedere che, quando sorge l’autoconsapevolezza della propria situazione, vuol dire che quello è il momento in cui o si cambia o si va fino in fondo nella strada già imboccata. In altre parole, quando una società è consapevole della propria disperazione possono aversi due vie: o i suoi membri individualmente cambiano “mondo”, o sono destinati a fare la fine del topo con la società della quale sono rimasti a fare parte. E cambiare mondo vuol dire mettersi sotto il governo del cielo, sotto il regno di Dio, visto che il mondo terreno non offre soluzioni, se non quella di implodere nella sua intrinseca malvagità.
É una questione seria. La proposta è di nascere di nuovo. Su questa stessa proposta inciampò anche Nicodemo, che pure avrebbe dovuto sapere che non c’era altro modo per entrare nel regno di Dio.
É tangibile che anche molti cristiani, alcuni dei quali lo sono solo per tradizione, sono smarriti, confusi e anche indignati. Ed è probabile che rischiano di finire per considerare che l’unica reazione possibile sia lanciarsi nella difesa delle proprie opinioni, tradizioni e diritti, finendo tuttavia nel gorgo della ribellione che alimenta la giustizia personale, da cui a sua volta la stessa ribellione trae la propria forza.
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É in atto un grande inganno. Cerco di spiegarlo.
Molti non vedono che male ci sia a unirsi ai manifestanti che nelle piazze, genuinamente e/o strumentalmente, urlano “libertà! libertà!”. Del resto è vero che la loro libertà è stata gravemente compressa. Del resto è vero che la pandemia poteva essere affrontata in tanti altri modi. Del resto è vero che i potenti se ne stanno nei palazzi a fare leggi strane senza rischiare niente. Tanto loro lo stipendio ce l’hanno! Del resto lo sappiamo che i governi di questo mondo sono malvagi.
Ma sorgono spontanee alcune domande: si può essere fedeli al mite ed umile Gesù e al contempo accarezzare come lecita l’idea della disobbedienza civile, se non perfino praticarla? Non è forse una contraddizioni in termini? Non è forse che quando decidiamo di vivere secondo la purezza della nostra nuova vita, quella eterna e sperimentiamo l’intima relazione con Dio, non possiamo più agire in modo ambiguo o con fare contraddittorio che va oltre l’ambivalente, perché la nostra coscienza rigenerata non ce lo permetterebbe?
In verità, la scrittura ce lo dice e lo Spirito Santo lo attesta nella nostra coscienza: quando facciamo parte del regno dei cieli non possiamo più essere ribelli verso le autorità costituite sulla terra. Né possiamo praticare alcuna disobbedienza civile. Viviamo infatti sulla terra come cittadini del regno celeste. Sappiamo cosa vuol dire avere un re. Comporta obbedienza per fiducia e affidamento filiale. Ci viene quindi naturale seguire con mitezza chi è in autorità sulla terra. Anzi, non possiamo neanche più sentirci lesi nelle nostre aspettative civili terrene. Del resto in un regno si hanno solo privilegi e non siamo più portati a sentirci in diritto di pretendere qualche cosa da chi è in autorità.
Chi non fa ancora parte del regno di Dio, non ha questo sistema di riferimento, per cui il massimo che può fare, se è in buona fede, è protestare e aspettarsi che la rivolta porti chi governa a miti consigli. Se invece non è in buona fede, ma compie azioni preordinate a destabilizzare la società e l’ordine pubblico, allora diventa parte di una grave azione manipolativa che a volte diventa anche violenta e vandalica. Comunque sia, in entrambi i casi si tratta di persone che, tristemente, non hanno né soluzione, né speranza.
Torniamo al “che male c’è?”. Molti si sono sentiti ingiustamente privati dei propri diritti, altri seriamente minacciati dai presunti disastri di un governo incompetente, altri ancora indignati per le manovre destinate a distruggere l’economia, il lavoro in generale, i risparmi di famiglia, la sussistenza minima… ed il quadro sociale e sanitario è veramente critico!
In fondo, chi si arrabbia col sistema del mondo e critica e condanna chiunque abbia poteri pubblici decisori o esecutivi così pensa: “non è forse lecito, se non perfino doveroso, perché moralmente corretto, esprimere la propria rabbia di indignazione per le limitazioni della libertà personale introdotte dalle normative anti-Covid-19? “
Sebbene tali disposizioni fossero e siano temporanee ed eccezionali per natura, si potrebbe arrivare a questo paradosso: se i cristiani protestassero o si ribellassero alle autorità costituite, alla fine si troverebbero a difendere lo stesso sistema valoriale e quindi ad essere alleati o di gruppi politici strumentalizzati che sono contro tutto e tutti pur di distruggere e di ottenere quello che vogliono con la forza (cambiare governo, sconfiggere la maggioranza parlamentare, et cetera..); o di chi, invece, è veramente disperato perchè ha perso o rischia di perdere lavoro, salute e relazioni e non ha però il Signore Gesù come soluzione a tutti i propri bisogni, né la forza per affrontare la vita. Da qui ad approvare, praticare e perfino istigare alla disobbedienza civile, cioè a disobbedire alle leggi in vigore, giustificando il proprio comportamento con la lesione dei loro diritti, il passo sarebbe veramente breve.
Di fondo, la società sta manifestando la sua sfiducia nelle istituzioni e nell’azione dei governi legittimamente costituiti, quali che essi siano per colore politico. Il senso di paura, minaccia e rabbia è ormai dilagato. La povertà incalza e, questa volta, non solo tra quelli già poveri ma anche in quella classe, per così dire, media che stava bene o benino prima del Covid-19.
I gruppi sociali del mondo hanno il loro modo di dissentire: protestano e disobbediscono, legittimando moralmente la loro ribellione con l’indignazione per la lesione dei propri diritti. Ma potrebbe mai essere questo il marchio di fabbrica dei discepoli di Gesù?
Quale comportamento potremmo tenere in una situazione come questa in quanto discepoli fedeli di Gesù?
Protestare per strada, sui media, dai pulpiti e nelle istituzioni cui avessimo accesso? Far sentire allo Stato la nostra voce per dirgli che abbiamo un diritto costituzionale di riunirci e che quindi, covid o no, nessuno può impedircelo? Parlare male del governo, tra di noi e con altri, lamentarci della gestione governativa su ogni cosa? Unirci ai valori dei disobbedienti civili, dei negazionisti, degli anti-lockdown, dei no-mask, no-social distancing, no-testing, no-vax, no-tutto?
L’indignazione sociale giustifica moralmente la disobbedienza civile di un discepolo di Gesù, membro fidato della sua intima e fedele comunità sulla terra (la chiesa)?
Credo che per un cristiano questa domanda, come ogni altra questione morale, possa trovare risposta solo nella Parola di Dio. E, per questo, iniziamo un breve viaggio nella Scrittura per cercare di orientarci e anche per poter aiutare altri ad orientarsi a loro volta.
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Le priorità di Gesù
Parto da una prima considerazione di ordine generale. Gesù disse che per avere pace i suoi avrebbero dovuto imparare da lui, che era mite e umile di cuore (Mt. 11, 28-30). Quindi, l’umiltà e la mitezza sono virtù umane manifestate dal Signore che anche i suoi discepoli sono chiamati a sviluppare, coltivandole nel loro cuore. Da esse dipenderà il loro comportamento nella società.
Gesù indicò chiaramente che gli umili, i miti e i perseguitati a motivo della giustizia sono coloro che avrebbero posseduto il regno dei cieli ed ereditato la terra, in base alle sue leggi (da Mt. 5, da 3 a 10). Infatti, per Gesù le priorità dalle quali dipende la sussistenza e la vita stessa di questi suoi fedeli sono il cercar di trovare, prendere, capire e raggiungere sia il regno che la giustizia di Dio (Mt. 6,33).
A proposito, Paolo chiarì che, al contrario, ricercare la giustizia terrena con leggi e tribunali era qualcosa di sconveniente, di perfino “vergognoso” per i fedeli del Messia. Scrive, infatti l’apostolo che, “Quando qualcuno di voi ha una lite con un altro, ha il coraggio di chiamarlo in giudizio davanti agli ingiusti anziché davanti ai santi? … il fratello processa il fratello, e lo fa dinanzi agl’infedeli. Certo è già in ogni modo un vostro difetto che abbiate fra voi dei processi. Perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qualche danno? Invece siete voi che fate torto e danno; e per giunta a dei fratelli. Non sapete che gl’ingiusti non erediteranno il regno di Dio? (da 1 Cor. 6, da 1 a 9)”.
A parte il più ampio contesto applicativo della citazione, vi si trova affermato un principio generale adatto solo al carattere umile e mite di cui ha parlato Gesù: il discepolo che pensi di cercare la soddisfazione di un proprio diritto (a maggior ragione se nei confronti di un “fratello”) davanti alle autorità civili o perfino religiose, dovrebbe assolutamente evitarlo, facendo meglio, piuttosto, a patire un torto, a soffrirne un qualche danno. Anzi, per Paolo è proprio il tentare di ottenere la soddisfazione dei propri diritti civili che diventa un torto o danno per il solo fatto di essere stata invocata.
In altre parole, è la ricerca, se non il trionfo, della giustizia personale che ci rende ingiusti, in contrapposizione alla giustizia di Dio che Gesù ci sprona a cercare fino anche a soffrirne persecuzione. Lo stesso Paolo giunse anche a raccomandare ai Filippesi che la loro mansuetudine fosse nota a tutti gli uomini, poiché il Signore è vicino (da Fil. 4,5).
Dunque, concludendo questa riflessione introduttiva, nel nostro caso particolare si può riassumere che l’umiltà e la mitezza consistano nel preferire subire un torto o un danno, piuttosto che vedere soddisfatta la nostra sete di giustizia personale e riconosciuti i nostri diritti civili.
Sappiamo, infatti, che la nostra vita e tutto ciò di cui abbiamo bisogno per viverla dipendono esclusivamente dalla bontà e dall’intervento sovrano di Dio sulla terra (Mt. 6, 25-34).
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Il discepolo del Signore e le autorità civili costituite
Che fare dunque, nel caso in cui dovessimo ritenere violato un nostro diritto da una classe politica e da un governo che riteniamo incapaci, o maldestri, o “venduti” o maligni, sebbene siano democraticamente al potere per nostra stessa scelta? É moralmente giusto ritenere le autorità civili costituite degne di ribellione per la loro supposta incapacità o infedeltà? E se il governo adottasse misure che, sebbene solo temporaneamente, limitassero le nostre libertà per tutelare un bene superiore quale la salute pubblica, è moralmente giusto opporsi, protestare e perfino disobbedire, invocando “giustizia”?
Leggiamo cosa ne pensa lo Spirito Santo che ha ispirato Paolo e Pietro nello scrivere i passi che seguono:
Romani 13,1-7
1 Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. 2 Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. 3 I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, 4 poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. 5 Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. 6 Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. 7 Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto.
1Timoteo 2,1-4
1 Esorto dunque, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, 2 per i re e per tutti quelli che sono costituiti in autorità, affinché possiamo condurre una vita tranquilla e quieta in tutta pietà e dignità. 3 Questo è buono e gradito davanti a Dio, nostro Salvatore, 4 il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità.
Tito 3,1-2
1 Ricorda loro che siano sottomessi ai magistrati e alle autorità, che siano ubbidienti, pronti a fare ogni opera buona, 2 che non dicano male di nessuno, che non siano litigiosi, che siano miti, mostrando grande gentilezza verso tutti gli uomini.
1Pietro 2,13-17
13 Siate sottomessi, per amor del Signore, a ogni umana istituzione: al re, come al sovrano; 14 ai governatori, come mandati da lui per punire i malfattori e per dare lode a quelli che fanno il bene. 15 Perché questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti. 16 Fate questo come uomini liberi, che non si servono della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio. 17 Onorate tutti. Amate i fratelli. Temete Dio. Onorate il re.
Il limite interno della sottomissione alle autorità civili costituite
La disobbedienza civile di un credente è giustificabile solo se l’osservanza delle leggi dello stato in cui vive gli impone di disobbedire a Dio; ad esempio, ciò ricorrerebbe quando un medico credente fosse costretto a praticare aborti, o quando a credenti fosse vietato parlare o insegnare nel nome di Gesù.
Di contro, ogni altra espressione “cristiana” di disobbedienza civile non è moralmente ammissibile perché la sua motivazione sarebbe inevitabilmente e intrinsecamente egoistica. Essa, infatti, servirebbe solo a proteggere o far valere diritti e interessi privati di singoli o di minoranze sociali, religiose o etniche a scapito della collettività o contro il governo costituito.
Si consideri il caso concreto di disobbedienza e protesta manifestata da alcuni cristiani in periodo di Covid-19 contro misure limitanti la libertà personale e adottate per tutelare esigenze di salute pubblica. Essi, infatti, invocando sia la costituzione del loro paese terreno, sia quella del loro supposto paese celeste, ritengono moralmente lecita la loro disobbedienza civile sulla base di taluni ragionamenti come quelli che seguono:
– la costituzione riconosce la libertà di riunione e la libertà di religione;
– la Bibbia impone ai cristiani di riunirsi. Al proposito si cita 1 Cor. 14,26 che esorta in verità a fare tutto per l’edificazione “quando vi riunite”. Ma qui, il centro dell’esortazione è l’invito all’edificazione, non l’obbligo di riunione in sé. Di contro, è evidente che il passo è diretto a risolvere un problema pastorale locale: quando si riunivano, c’era disordine e vanità;
– la Bibbia comanda ai cristiani di non disertare le riunioni della chiesa e in proposito si cita Eb. 10, 24-25. Ma l’obiettivo di tale passo non è il rispetto del comando di riunirsi, quanto piuttosto l’esortazione a risolvere un problema pastorale della comunità cui la lettera è rivolta, costituito dal fatto che alcuni avevano l’abitudine di trascurare le riunioni comunitarie, pur potendovi partecipare;
– conseguentemente, si sostiene, è moralmente giusto non rispettare le norme che limitano il diritto costituzionalmente garantito di tenere riunioni religiose. Infatti, l’esercizio di tale diritto costituisce obbedienza a Dio, mentre il disattenderlo ci renderebbe ribelli verso Dio.
Tale posizione è, ad esempio, sostenuta sulla base di due vicende narrate nel libro degli Atti.
In Atti 4, dopo aver guarito uno zoppo presso la porta del tempio detta “Bella”, Pietro parlò al popolo. Giunsero dei sacerdoti, il Capitano del tempio e dei Sadducei indignati perché insegnavano al popolo e annunciavano in Gesù la risurrezione dai morti e arrestarono Pietro e Giovanni, mettendoli in prigione. Il giorno dopo, si riunirono con il sommo sacerdote Anna, Caifa, Giovanni, Alessandro e tutti quelli della famiglia dei sommi sacerdoti e, fatti condurre davanti a loro Pietro e Giovanni, li interrogarono circa la guarigione dello zoppo. Pietro allora, pieno di Spirito Santo, disse apertamente che quell’uomo era stato guarito nel nome di Gesù Cristo, che proprio quelli che ora lo accusavano avevano crocifisso, ma che Dio aveva risuscitato dai morti. Dunque, costoro gli ordinarono di non parlare, né insegnare affatto nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni risposero loro: “Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio. Quanto a noi non possiamo non parlare delle cose che abbiamo visto e udito”. Rimessi in libertà, andarono a dire cosa era successo agli altri fratelli che concordi iniziarono a pregare: il luogo dove erano riuniti tremò, tutti furono riempiti di Spirito Santo e annunciavano la Parola di Dio con franchezza.
In Atti 5, dopo la vicenda di Anania e Saffira e dopo che molti miracoli avvenivano per mano degli apostoli, il sommo sacerdote e i Sadducei, pieni di invidia, li imprigionarono, ma durante la notte un angelo del Signore li liberò e disse loro di tornare nel tempio a predicare. E così fecero. Allora furono nuovamente arrestati e condotti dinanzi al Sinedrio furono accusati di aver trasgredito l’ordine che avevano già dato a Pietro e Giovanni in Atti 4. Ma Pietro e gli altri apostoli risposero loro: “Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio” e si misero a parlare loro di Gesù. Fu allora che i membri del Sinedrio, evidentemente sfidato apertamente, pieni d’ira volevano ucciderli, ma grazie all’intervento di Gamaiele, un fariseo del Sinedrio, gli apostoli furono rilasciati con il reiterato ordine di non parlare nel nome di Gesù. Essi, però, disattesero ancora quell’ordine e continuarono ad insegnare e annunciare che Gesù è il Messia.
Certo la Bibbia offre molte altre storie di giusti che si sono rifiutati di rinnegare Dio e i suoi comandamenti, disobbedendo a decreti “regali” del re di Babilonia e di Dario re dei Medi e dei Persiani.
Pensiamo ai tre giovani che il re Nabucodonosor fece gettare in una fornace ardente perché si erano rifiutati di adorare la statua che lo rappresentava. I tre non cercarono di liberarsi dall’ingiusta sentenza, ma dissero al re che il loro Dio li avrebbe liberati e che se anche non fosse accaduto, loro non avrebbero mai violato il 1° e il 2° comandamento di Yah. E così il fuoco non bruciò i tre giovani, bensì coloro che li avevano gettati nella fornace (Dn. 3).
E che dire di Daniele, finito nella fossa dei leoni per aver pregato il suo Dio invece di obbedire a un decreto regale che lo vietava, imponendo di rivolgere petizioni e preghiere solo al re Dario? Quel decreto fu ottenuto per l’insistenza di alcuni capi del paese invidiosi di Daniele che, quando fu gettato nella fossa, non disse una parola. Non accennò a un tentativo di difesa. Ebbene, miracolosamente i leoni non sbranarono Daniele, ma piuttosto i suoi accusatori che per ordine del Re furono poi gettati nella fossa dei leoni (Dn. 6).
In tutte queste grandi storie, i loro protagonisti si rifiutarono di obbedire agli uomini piuttosto che a Dio, poiché diversamente avrebbero violato i comandi del Signore. Ma nessuno di loro si ribellò all’autorità terrena costituita. Affidarono la loro difesa e salvezza a Dio che servivano e attesero il suo potente intervento. Pietro fu pieno di Spirito Santo nel rispondere, un angelo aprì la prigione a tutti gli apostoli, un quarto uomo (simile a una figura celestiale) fu visto nel fuoco con i tre giovani e la bocca dei leoni non si aprì su Daniele.
Nel primo dei due casi narrati del libro degli Atti, gli altri credenti si limitarono ad attendere il ritorno di Pietro e Giovanni. Non organizzarono marce di protesta. Non fecero sentire la loro voce nei palazzi del potere. Nel secondo caso, nessuno cercò di raggiungere il Sinedrio, o lo stesso Gamaiele per convincerlo a prendere le difese degli apostoli, promettendo fedeltà “politica” o minacciando ribellione. Anche Daniele non mosse un dito e i tre giovani della fornace dissero che era meglio morire piuttosto che peccare.
Non vedo similitudini tra le storie bibliche raccontate sopra e le vicende attuali legate al Covid-19. Quali sono i comandamenti del Signore che violeremmo se rispettassimo le leggi di emergenza che vengono via via adottate? In cosa peccheremmo se anche per un po’ dovessimo sopportare di non poterci riunire di persona con i fratelli? In Atti 5, prima di essere rimessi in libertà gli apostoli furono frustati. Essi, invece di protestare perché i loro diritti erano stati calpestati con violenza, se ne andarono via rallegrandosi di essere stati trovati degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù!!
A contrariis, si potrebbe portare ad esempio Gesù che, indignato, ribaltò i tavoli dei cambiavalute nel tempio e cacciò fuori tutti i mercanti (Gv. 2 e Mt. 21).
Cioè giustificare la disobbedienza civile “cristiana” perché anche il Signore avrebbe agito la sua rabbia di indignazione per violare le regole del tempio e ribellarsi allo status quo del potere religioso. Ma, a ben vedere, l’indignazione del Messia fu causata dal fatto che, come Gesù stesso disse loro, mercanti, cambiavalute e sacerdoti avevano fatto della casa del Padre suo una casa di mercato (Gv. 2, 16) e un covo di ladri. Fu lo zelo per la casa di Dio a farlo agire per ristabilire la giustizia del Signore nel luogo a lui dedicato (Gv. 2,17 e Sl. 69,4). I sacerdoti avevano giurisdizione sul tempio e ne dettavano le regole di funzionamento. Ma essi non erano stati votati dal popolo. Erano stati eletti da Dio che scelse per il suo servizio la casa di Levi tra le 12 tribù di Israele. E fu Dio stesso, venuto sulla terra in forma umana e chiamato tra e per gli uomini Yeshua, a dire ai sacerdoti suoi incaricati che avevano trasgredito i comandamenti che a suo tempo aveva dato ai loro antenati. In altre parole, avevano fallito nel loro incarico e glielo stava dicendo lui che li aveva incaricati e che era il padrone di casa!
L’accostamento, pertanto, sarebbe piuttosto ardito e non regge il confronto. Diversamente, dovremmo considerare Dio come un primo ministro o un presidente dei nostri tempi e Yeshua come un rivoluzionario che si ribella contro un ingiusto centro di potere terreno. Gesù era il Re dei Giudei (Gv. 19,19) e in quel momento stava ristabilendo le sue regole nella sua stessa casa posta in mezzo al suo popolo. Ritengo piuttosto inappropriato l’utilizzo dell’indignazione di Gesù come elemento di giustificazione per chi oggi vuole “ribaltare il governo, le regole…” nel nome dello stesso Gesù: stravolgendo il senso dell’indignazione santa del Signore, si rischia di diffondere l’approvazione della giustizia personale di chi è mosso dallo zelo per la tutela dei suoi diritti civili e non della giustizia di Dio.
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Gesù e le leggi “ingiuste”
Gesù si trovò in situazioni dove poteva reagire all’ingiustizia sociale con protesta o disobbedienza civile. Eppure il suo esempio va in direzione completamente opposta.
Ad esempio, trovandosi a Gerusalemme poco prima di essere tradito e ucciso, i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani, che nel tempio erano stati pubblicamente affrontati e rimproverati da Yeshua, cercavano di prenderlo. Gli mandarono una coalizione di erodiani e farisei, che mai sarebbero andati d’accordo tra di loro. Gli Erodiani, infatti, erano politicamente schierati a favore dei romani. I farisei erano invece, nel nome di Dio, avversi ai romani in quanto oppressori stranieri e pagani. Comunque, uniti dal comune odio verso il Messia, andarono per coglierlo in fallo nel parlare e avere elementi per accusarlo. “Essi … gli dissero: «Maestro, noi sappiamo che tu sei sincero, e che non hai riguardi per nessuno, perché non badi all’apparenza delle persone, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? Dobbiamo darlo o non darlo?» Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché mi tentate? Portatemi un denaro, ché io lo veda». Essi glielo portarono ed egli disse loro: «Di chi è questa effigie e questa iscrizione?» Essi gli dissero: «Di Cesare». Allora Gesù disse loro: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Ed essi si meravigliarono di lui” (Marco 12,14-17).
É socialmente giusto pagare tasse all’autorità civile costituita? É giusto anche se le tasse sono così alte da vanificare la fatica di chi lavora onestamente? Non sarebbe invece giusto disobbedire e rifiutarsi di pagare? O scampare alla tassazione nascondendo i ricavi?
Quanto sono attuali anche per noi queste domande. Quanti cristiani oggi forse affermano che, se le tasse alte ti impediscono di avere quello che dovrebbe spettarti, è moralmente giusto non pagarle! Ma se così fosse, la disobbedienza civile in campo fiscale (evasione, elusione e quant’altro ) diventerebbe uno dei modi di affermazione dei diritti e della libertà individuali dall’oppressione del nemico, che è il solito governo “ladro”!
Ma cosa disse Yeshua? Beh, dopo aver fatto dire ai suoi inquisitori di chi fosse l’effige e l’iscrizione sul denaro, disse: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». E farisei ed erodiani? Semplicemente “si meravigliarono di lui”.
Paolo stesso riprese questo tema, dicendo ai credenti romani di stare sottomessi “alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio … Perciò è necessario stare sottomessi … anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto” (da Rm. 13, 1-7).
Ci fu anche una diversa situazione in cui Gesù si trovò di fronte a un’altra tassa, questa volta dovuta al tempio. Siamo a Cafarnao. Si avvicinarono a Pietro quelli che riscuotevano il tributo annuale di mezzo shekel dovuto alla cassa del tempio per il mantenimento del culto. Questa tassa doveva essere pagata da ogni israelita dai vent’anni in su. Chiesero a Pietro se il loro maestro intendesse pagare quel tributo. Pietro disse di sì, ma “quando fu entrato in casa, Gesù lo prevenne e gli disse: «Che te ne pare, Simone? I re della terra da chi prendono i tributi o l’imposta? Dai loro figli o dagli stranieri?» «Dagli stranieri», rispose Pietro. Gesù gli disse: «I figli, dunque, ne sono esenti. Ma, per non scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che verrà su. Aprigli la bocca: troverai uno statère. Prendilo, e dallo loro per me e per te»” (da Matteo 17,24-27).
In questo caso la fonte legislativa non era romana o comunque temporale, ma biblica. Il tributo era dovuto in base ad Esodo 30, 11-16 e 38,26 e ci sono delle considerazioni da fare:
– I rabbini erano esentati dal pagare questa tassa, come lo erano i sacerdoti a Gerusalemme. Gli esattori chiedevano se anche Gesù avrebbe rivendicato una simile esenzione e la domanda presumeva che pagasse regolarmente, come anche Pietro pensava.
– Gesù, invece, disse di non essere obbligato a pagare questa tassa non perché rabbino o sacerdote, ma perché figlio di colui al quale era diretto il culto che la tassa finanziava. Infatti, i re non riscuotono tasse dai figli, ma dagli stranieri.
– Tuttavia, Gesù riconobbe l’importanza di evitare inutili controversie per far valere un suo privilegio. Si disse quindi disposto a pagare la tassa, ma solo per non offendere coloro che la riscuotevano, non perché fosse giusto chiedere i tributi del re al figlio dello stesso re.
– Pertanto, Gesù disse sarebbe stato sconveniente dare un cattivo esempio ed invita Pietro ad andare oltre, perfino a subire un torto, pur di mostrare agli altri la via della mitezza da seguire.
– L’oltre era questo: una volta che siamo disposti a subire un torto pur di non creare scandalo, Dio interviene e miracolosamente provvede a Gesù il denaro occorrente per pagare il tributo di Gesù e di Pietro.
– Non capita tutti i giorni che qualcuno prenda un pesce e gli tolga una moneta dalla bocca. Ma Gesù ha confidato nella provvidenza del Padre per pagare le sue tasse.
Come disse Spurgeon, famoso predicatore inglese dell’800 “Così il grande Figlio paga la tassa riscossa per la casa del Padre suo; ma esercita la sua prerogativa reale nell’atto e prende lo shekel dal tesoro reale. Come uomo paga, ma prima come Dio fa sì che il pesce gli porti il siclo in bocca “.
Ancora una volta riecheggiano le parole di Paolo scritte nella lettera ai romani, dove ricorda ai credenti di Roma che Dio vuole che si renda a tutti ciò che è loro dovuto per legge. Così come risuonano le sue parole quando, sulla base del principio messo in pratica da Gesù nell’episodio del tributo per il tempio, ricorda ai membri della chiesa di Corinto di non dare motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla chiesa di Dio. Paolo stesso dice di sé di compiacere a tutti in ogni cosa, cercando non l’utile suo ma quello dei molti, perché siano salvati (da 1Corinzi 10:32-33).
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Non c’è spazio per la giustizia personale nel discepolo di Gesù
É evidente che non c’è spazio per la giustizia personale. Non c’è spazio per rivendicare i propri diritti. Meglio subire un torto che essere un cattivo esempio.
Voglio ricordare un altro episodio in cui si può apprezzare l’atteggiamento umile e mite dei fedeli del Messia. É narrato in Atti 12. Dopo che aveva fatto uccidere Giacomo, fratello di Giovanni, Erode mette in prigione Pietro, riproponendosi di ucciderlo dopo la Pasqua. “Ma fervide preghiere a Dio erano fatte per lui dalla chiesa” (At. 12,5). La notte prima che Pietro venisse fatto comparire davanti al popolo, miracolosamente un angelo del Signore lo liberò e lo fece uscire dalla prigione: catene che cadono da sole dalle mani, guardie che non vedono niente di quello che sta accadendo, porte che si aprono da sole e Pietro che indisturbato esce libero in strada! Consapevole della situazione, Pietro si recò subito alla casa di una certa “Maria, madre di Giovanni, detto anche Marco, dove molti fratelli erano riuniti in preghiera” (At. 12, 12). Raccontò cosa era successo e disse loro di riferirlo anche agli altri. E poi andò a nascondersi altrove.
Cosa fecero i discepoli davanti all’ingiustizia dell’autorità costituita? Pregarono! In molti, riuniti in casa. Non protestarono per le strade. Li avrebbero uccisi. Non organizzarono una ribellione, perché avrebbero combattuto il mondo con le armi del mondo. Ma pregarono fervide preghiere, riunendosi in molti nelle case di alcuni di loro.
Una lezione che dovevano aver imparato dal Signore, particolarmente dall’evento che segue. E questo è forse il più eloquente tra tutti quelli che ho proposto sopra.
Gesù comparve davanti a Pilato che gli disse: “«Sei tu il re dei Giudei?» Gesù gli rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me?» Pilato gli rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?» Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui». Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?» Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce». Pilato gli disse: «Che cos’è verità?» (Gv. 18, 33-38).
Davanti all’autorità costituita e davanti ai malvagi che hanno calpestato la sua libertà di uomo e lo hanno consegnato a Pilato per farlo morire con ingiusta accusa, Gesù non combatte con le armi del mondo per difendere il suo diritto alla vita. Semplicemente afferma che non intende farlo perché anch’egli è Re, ma che il suo regno non è di questo mondo e nel suo regno si vive in modo diverso. Altrimenti i suoi avrebbero combattuto perché non venisse messo nelle mani dei Giudei, forse riferendosi al suo arresto nel Getsemani, dove Pietro in vero abbozzò una sorta di resistenza armata, ma che Gesù soffocò subito nel nascere, rimproverando Pietro stesso.
La mitezza del Signore non è un far finta che l’ingiustizia non ci sia. Ma viene dalla consapevole e voluta limitazione della sua sovrana potenza. Così è per chi è nato di nuovo.
Chi appartiene al regno di Dio e ne è cittadino, è figlio del Re e ambasciatore del suo Signore. E, come fece Gesù, non combatte il mondo con le armi del mondo. Ma affida a Dio la sua sorte, attendendo che egli compia i suoi piani e susciti il volere e l’agire anche nelle autorità costituite del mondo.
I fedeli del Re Gesù sono come lui: miti e umili, vivono per vedere affermata la giustizia di Dio e per questa sono anche perseguitati. Non danno scandalo. Pregano e si adoperano per la pace e la giustizia, anche in sedi politiche terrene, ma agendo secondo la cultura del regno a cui appartengono e che al contempo appartiene loro.
La preghiera non è un mezzo per noi per riuscire ad ottenere da Dio quello che vogliamo. Piuttosto, la preghiera è il mezzo per diventare strumento per Dio perché egli compia la sua volontà sulla terra come in cielo (Derek Prince).
Il mite non è un passivo. É solo un prudente misericordioso che ha assunto le priorità di Dio come proprie nella sua vita. Paolo esortò Timoteo dicendogli che voleva che si facessero “suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti … per tutti quelli che sono costituiti in autorità, affinché possiamo condurre una vita tranquilla e serena in tutta devozione a Dio e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1Timoteo 2,1-4).
In altre parole, lo Spirito Santo ci esorta tramite Paolo a chiedere a Dio di darci un buon governo terreno, affinché:
– noi possiamo vivere tranquilli, sereni, dignitosamente e liberi di adorare Dio;
– il governo stesso adotti leggi che non impediscano alla verità di giungere a tutti per la loro salvezza.
Lo scopo della nostra preghiera non è di preservare i nostri diritti soggettivi. Le nostre libertà costituzionali. I nostri interessi. Ma di mantenere aperta la strada del mondo agli scopi di Dio per tutti gli uomini.
Di questo si raccomandava Paolo anche ai Colossesi, quando chiedeva loro: “Pregate nello stesso tempo anche per noi, affinché Dio ci apra una porta per la parola, perché possiamo annunciare il mistero di Cristo, a causa del quale mi trovo prigioniero, e che io lo faccia conoscere, parlandone come devo.” (Colossesi 4:3-4).
E ai Tessalonicesi, chiedeva di pregare per lui e per chi era con lui, affinché “la parola del Signore si spanda e sia glorificata come lo è tra di voi, e perché noi siamo liberati dagli uomini molesti e malvagi, poiché non tutti hanno la fede” (2Tessalonicesi 3,1-2).
Dio ha il potere di dirigere secondo i suoi scopi i governanti e ogni autorità terrena costituita. E per questo ha bisogno che il regno di sacerdoti che si è formato sulla terra agisca secondo i principi del suo regno e non secondo quelli di questo mondo.
Se paghiamo le tasse, Dio ha il potere di far venire verso di noi le risorse necessarie. Pietro le trovò in un pesce.
Se preghiamo per il governo, qualsiasi cosa succeda, le porte della predicazione della parola della verità non saranno mai chiuse e, strada facendo, saremo liberati dagli uomini malvagi e molesti che non hanno la fede. Pietro uscì miracolosamente di prigione scortato da un angelo.
Ecco che disapprovare tutto ciò che fa il governo, criticare i governanti, protestare anche pubblicamente e unirsi a chi non ha la fede per far valere bisogni ritenuti comuni ci abbassa ad avere e propugnare i loro stessi valori: la ribellione, la giustizia personale, l’individualismo, la sfiducia in tutto e in tutti.
Il punto è che se, come è vero che YHWH è Dio ed è l’unico vero Dio e non ci sono altri dei al di fuori di lui, allora egli governa l’universo e piega alla sua volontà chi vuole, quando vuole e come vuole.
Pensiamo a Nabucodonosor, potente re babilonese che per un tempo ebbe il mondo conosciuto ai suoi piedi. Dio lo piegò. Gli disse che in realtà non era nessuno e che avrebbe vissuto come un animale, come senza ragione. Questo avvenne realmente. Gli fu tolto il regno per un certo periodo e quando questo cessò, il re tornato in sé riconobbe il vero e unico Dio che ha “il potere di umiliare tutti quelli che procedono con superbia” e il regno gli fu restituito. Certo, Dio operò questa potente trasformazione anche grazie alla collaborazione di alcuni suoi eroi: i tre giovani che il re stesso aveva fatto gettare nella fornace e Daniele, che aveva con facoltà soprannaturale spiegato al re il sogno che lo tormentava.
Sulla terra il Signore ha scelto di agire collaborando con gli uomini, scegliendo tra questi quelli che rispondono alla sua chiamata alla santità. Ecco, dunque, che vuol dire che ciò che i suoi permettono sulla terra, è permesso da Dio; quello che vietano sulla terra, Dio lo vieta.
Protestare contro i governanti cattivi o incapaci di questo mondo e ribellarsi alle loro leggi disubbidendole, non porta alcuna soluzione. Ritengo che le libertà civili non si tutelino a dispetto delle autorità costituite, come del resto potrebbe fare un non credente scontento, confuso e impaurito, che cerchi solo l’affermazione della sua libertà e dei suoi diritti su questa terra.
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Siamo un regno di Sacerdoti
La sfida di oggi è grande: come mai prima di ora, siamo chiamati a prendere posizione per farci trovare allineati all’azione divina sulla terra.
É tempo che il “regno di sacerdoti” che Dio si è formato sulla terra inizi a funzionare con la consapevolezza di essere canale dell’autorità e della potenza del Signore, affinché sulla terra sia fatta la sua volontà come è fatta in cielo e venga il suo regno, proprio come è in cielo.
É il tempo che noi esercitiamo il nostro sacerdozio regale perché siamo un regno di sacerdoti. A proposito, lo sapevate?
Siamo una stirpe scelta perché nella nuova creazione discendiamo spiritualmente da Gesù, il primogenito tra i risorti. Siamo una nazione santa perché viviamo in un modo speciale, unico e diverso da quello di tutti gli altri. I nostri valori non cambiano. Il nostro scopo è scritto nel cielo e il nostro potenziale lo può manifestare sulla terra. Siamo chiamati a regnare spiritualmente nella vita ed influenzare le nazioni aprendo canali spirituali di potenza affinché il Signore faccia avanzare il suo regno.
É ormai chiaro che non è più il tempo delle battaglie politico-culturali, delle influenze filosofiche, dei vangeli sociali e delle reprimende farisaiche a suon di teologie e dottrine. Il conflitto è già puramente spirituale e sarà sempre di più una battaglia di potenza.
Il Signore Gesù ha chiaramente detto che il mondo sarebbe andato sempre peggio (Mt. 24, 4-14; Lc. 21, 8-19) ma che nelle tenebre destinate a scurirsi, i suoi fedeli discepoli e apostoli avrebbero brillato sempre di più (Mt. 5, 14-16). É proprio nel buio che serve la luce e quando tutto non funziona, noi possiamo accendere il turbo del regno di Dio (Is. 58, 6-12). Non è una sorpresa per chi vive per il Signore e per il suo regno vedere che la società civile sta andando a rotoli. Gesù ha detto che sarebbe successo con crescente intensità e frequenza di fenomeni che avrebbero scosso anche i sistemi più saldi. Non mi fraintendete. Non sono un pessimista. Semplicemente credo che quello che la Bibbia dice è la verità e che noi che siamo già nel regno di Dio non saremo travolti dal mondo e dalla sua corruzione. Noi rimaniamo saldi, perché abbiamo costruito la nostra dimora terrena sulla roccia, con fondamenta profonde (Mt. 724-27; Lc. 6, 46-49). Sul Messia e sulla sua Parola. Sulla sua alleanza e sul suo regno eterno. Mentre il mondo andrà sempre peggio, Dio provvederà a noi, poiché ci ha chiamati a regnare nella vita che abbiamo ora su questa terra per fare la differenza brillando della nostra luce. Non ci mancherà mai niente di ciò che ci serve per compiere il nostro incarico (Sl. 23, 1; Mt. 6,33). Il nostro regno, quello dei cieli, che è già in noi e in mezzo a noi, non è mai scosso da niente. Non si sgretola, non si corrompe, non manca di risorse. Nel nostro regno la fiducia nel Re non viene mai meno perché egli è fedele e giusto ed è l’unica istituzione che decide tutto sempre e solo per il bene di tutti. In questo regno si spera sempre e si sopporta tutto in vista delle cose che devono ancora avvenire. Anche se dovessimo subire persecuzione e anche se alcuni saranno perseguitati fino alla morte, sappiamo che tutto avverrà per la gloria di Dio nell’attesa del ritorno del Re dei re e Signore dei signori, mentre la certezza della risurrezione dimora stabile nei nostri cuori.
Nel regno dei cieli abbiamo l’innata capacità di stare fedelmente saldi nella fiducia, affinché la volontà di Dio sia fatta in terra come in cielo. Non siamo fatti per parlare negativamente, criticare, condannare, scoraggiarci, cedere alla paura e distruggere tutto con la lingua e con le mani. Siamo i fedeli del re dell’universo che possono mettersi nella loro posizione di vittoria.
Alcuni sono dissuasi dal parlare negativo dei media. Il fatto è che spesso non è possibile sapere cosa in realtà stia succedendo. La verità sulle circostanze di cui sentiamo solo parlare è molteplice e sempre velata da false smentite. Ma Dio è sovrano e abbiamo il compito di pregare “spiritualmente”, non “politicamente” secondo il mondo. Cioè, non siamo chiamati a chiedere a Dio che prevalga un partito, un uomo o un ideale terreno sopra un altro, ma che la volontà di Dio sia fatta in terra come in cielo. Come chiesa di Yeshua siamo al di sopra delle vicende terrene, ma al contempo siamo nel mondo. Gesù pregò il Padre di non toglierci dal mondo, ma di custodirci dal maligno. Infatti, se togli la luce dalle tenebre, chi potrà vedere la strada dove mettere i piedi? E se non siamo noi, con la nostra vita a far vedere la potenza di Dio e come la pensa il cielo in ordine a ciascuna circostanza della terra, come potranno quelli che ancora sono distratti riferire a Dio l’accadere del bene sul pianeta o intravedere la speranza delle via dello “Spirito” che porta alla pace, quella vera (Mt. 5, 14-16)?
La morte di Yeshua ci ha ottenuto il perdono dei peccati. Con la sua risurrezione abbiamo ricevuto la vita eterna. Con la sua ascensione ci è stata data autorità spirituale sopra ogni governo di questo mondo. Con la venuta dello Spirito Santo ci è stata data la potenza di dare in tutto il mondo testimonianza di Yeshua, il sovrano Re dei re. Quindi, noi siamo direttamente coinvolti nel governo celeste della terra, attraverso il quale Yah può annullare i disegni delle nazioni e rendere vani i disegni dei popoli (Sl. 33,10). Sia chiaro che non sto dicendo che non dobbiamo occuparci della politica terrena, se il farlo è la nostra chiamata. Ma, anche in quel caso, ce ne possiamo occupare solo sapendo chi siamo e perché vi siamo coinvolti.
I valori che serviamo non cambiano. Sono quelli del Padre nostro, non quelli del mondo, anche se accattivanti o simili ai nostri. Dovunque siamo e qualsiasi incarico terreno stiamo ricoprendo, preghiamo perché il regno dei cieli venga sulla terra come è in cielo e (Mt. 6,10) sul nostro pianeta, nelle concrete circostanze per cui preghiamo, sia fatta la volontà di Dio come in cielo, così in terra. Ed agiamo di conseguenza.
I cittadini del regno di Dio non sanno sempre cosa esattamente sta accadendo. Sanno chi sono, qual è la loro posizione e il loro potenziale, da chi e da dove vengono. Sanno dove stanno andando. Conoscono la fine dal principio, ma non i dettagli del percorso per arrivarci. Alcuni, come fedeli sentinelle che discernono i segni dei tempi e i pericoli spirituali, hanno il compito speciale di avvertire della mancanza di un sincero ritorno a Dio. Altri hanno il compito di fortificare i membri della chiesa di Yeshua perché non venga meno il loro coraggio e dovunque si trovino proclamino la verità e con autorità e potenza preghino perché le circostanze cambino. Ripeto, non sappiamo esattamente cosa succede oggi nel mondo, ma abbiamo il potenziale di pregare perché in terra sia fatta la volontà di Dio e di agire di conseguenza. Mettiamo fiducia in questa grande verità! Crediamo che Dio agirà come ha promesso: riponiamo la nostra sorte in Dio, confidiamo in lui ed egli agirà (dal Sl. 37, 5)! Restiamo fedeli al Re dei re e dove abbiamo un margine di manovra con azioni concrete, agiamo secondo coscienza e le leggi del nostro regno; poiché è Dio infatti che, secondo i suoi disegni benevoli, ci ispira sulle decisioni da prendere e le azioni da compiere. E Dio è fedele!
Possiamo formarci un’opinione su cosa sta succedendo in questo preciso momento storico, ma a cosa serve se non sappiamo se è quella giusta? Del resto, “all’uomo appartengono i pensieri della mente, ma da Dio viene la risposta” (Pr. 16,1). Come ambasciatori del regno di Dio sulla terra, abbiamo l’incarico di parlare e agire secondo quello che pensa il governo celeste che noi rappresentiamo, al fine di riconciliare gli uomini con Dio.
Come suoi diplomatici e rappresentanti in terra straniera, qui dove siamo possiamo aprire un canale spirituale per il cielo, affinché attraverso la nostra vita lo Spirito Santo possa manifestare sulla terra la volontà del Padre. La sapienza celeste infatti ci insegna di affidare a Dio la nostra attività, e i nostri progetti riusciranno. (Pr. 16,3).
Chi è pronto a rinunciare a se stesso per il regno di Dio è oggi testimone della risurrezione del Signore e sarà testimone del suo trionfale ritorno.
Chi si perde nei gorghi della ribellione allettato dalla giustizia personale rischia di perdere il treno del Regno che sta passando e di salire su quello dell’anarchia.
C’è stato un cambio di marcia nei cieli. E di conseguenza lo stiamo vedendo in terra. Forse non sarà la nostra generazione a testimoniare il ritorno del Signore. Ma potrebbe esserlo la generazione dei nostri figli; e questa è la speranza che possiamo lasciare loro in eredità.